La pandemia ha esasperato le disegualianze sistemiche del nostro Paese, quelle di genere, in primis, rappresenteranno una nuova sfida solo se riusciremo a mettere a fuoco la questione del lavoro al femminile e a comprendere i veri motivi di una così evidente penalizzazione delle lavoratrici e delle donne in genere, resa più esplosiva dalla crisi in corso.
Questo tema dovrà essere prioritario, nel piano nazionale di ripresa, e dovremo identificare le azioni strutturali a sostegno della parità e dell’inclusione senza ricadere nell’emergenza che genera soluzioni di breve respiro. Dobbiamo essere onesti con noi stessi e riconoscere che i compiti familiari e di cura sono a tutt’oggi assegnati alle donne, che restano il vero pilastro sociale del welfare. Ecco che, con questa attitudine culturale passano in secondo piano le soluzioni all’interno delle politiche di welfare, dove mancano in concreto le risorse per garantire i servizi alle persone, alle famiglie, ai genitori. Quindi alla società tutta.
Dobbiamo smettere di blandire le donne con i comportamenti manipolatori per arrivare poi a sostenere che mai potrà esserci una vera parità .Le energie femminili non sono inesauribili, le donne non sono più brave o più resilienti le donne sono multitasking per necessità, come lo sarebbero e lo sono anche gli uomini quando si trovano in analoga situazione di necessità.
La parità salariale non è un vezzo, è importante per le decisioni nell’ambito della famiglia. Se sarà sempre la donna a guadagnare meno, sarà lei a dover lasciare il posto in caso di necessità. Se non sarà lei quella in carriera, dovrà sostenere il compagno rinunciando giorno dopo giorno alla propria autonomia, al proprio sviluppo alla propria formazione.
Mancando per lungo tempo dal mercato del lavoro, avrà accesso solo a ruoli poco renumerativi, con impatto anche sull’autostima e sulla autonomia personale. Dobbiamo investire per garantire istruzione di buon livello per tutti, da 6 anni in poi , questa è la base per realizzare i progetti di ogni persona e garantire l’egualianza e l’inclusione.
E dobbiamo anche continuare a formare, perché il futuro si muove velocissimo e la formazione deve essere continua e coprire tutte le età, per garantire flessibilità nelle mansioni famigliari, sostenendo la maternità in quanto legge dettata dalla natura e la genitorialità in quanto sistema sociale. Il nuovo assetto regolatorio dovrà tenere conto del cambiamento della società che sarà sempre più ampia e plurima.
Quali gap? (Fonte dati -L’Eurobarometro)
la perdita reddituale delle donne occupate è del 35% nei due anni che seguono il parto e del 10% negli anni successivi, e alla minore presenza femminile nei settori a maggiore remunerazione come tecnologia, ingegneria, finanza, ecc. Anche i dati sulla digitalizzazione nel mondo del lavoro penalizzano le donne italiane e collocano il Paese in fondo alla classifica europea: Nel 2019 soltanto il 10% delle donne ha effettuato una formazione per migliorare le proprie competenze digitali, contro il 18% della media UE. La percentuale di italiani con competenze digitali che vanno oltre quelle di base è del 19% per le donne e 25% per gli uomini (UE 31% per le donne e 36% per gli uomini).
Il ritardo è particolarmente evidente nell’area della leadership femminile. Nel nostro Paese sono appena il 18% delle posizioni regolate da un contratto da dirigente sono occupate da donne, una percentuale che negli ultimi 10 anni è cresciuta di appena lo 0,3%, rimanendo quindi sostanzialmente invariata. A ciò si aggiunge il fatto che è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione di genere.